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Un nuovo metodo consente di quantificare l’intermittenza spaziale delle correnti oceaniche — ScienceDaily

INFORMATIVA: Alcuni degli articoli che pubblichiamo provengono da fonti non in lingua italiana e vengono tradotti automaticamente per facilitarne la lettura. Se vedete che non corrispondono o non sono scritti bene, potete sempre fare riferimento all'articolo originale, il cui link è solitamente in fondo all'articolo. Grazie per la vostra comprensione.


Comprendere la circolazione dell’Oceano Atlantico è fondamentale per valutare le interconnessioni oceaniche globali, in quello che è noto come il “nastro trasportatore globale”. Questo perché le estremità latitudinali dell’Atlantico, al confine con le regioni polari, sono regioni di formazione di acqua fredda che innescano l’inizio del nastro trasportatore globale. A causa della loro elevata densità, ogni inverno le acque di queste regioni polari affondano e avviano il nastro trasportatore, contribuendo così a ridistribuire il calore su scala planetaria, che alla fine influenza il clima, soprattutto in Europa.

Per quantificare questa circolazione su scala planetaria è necessario comprendere l’intensità di tutti quei processi che provocano l’intermittenza spaziale e temporale delle grandi correnti, cioè i processi diffusivi. Un nuovo studio condotto dall’Institut de Ciències del Mar (ICM-CSIC) di Barcellona, ​​che approfondisce i processi di diffusione orizzontale nell’Atlantico meridionale, ha sviluppato una nuova metodologia per calcolare questa diffusione sia a livello regionale che globale.

“La nuova metodologia, che abbiamo chiamato ROD (Radial Offset by Diffusion), ci permette di determinare i coefficienti di diffusione orizzontale nell’oceano e di stimare la loro variabilità spaziale”, afferma Anna Olivé, prima autrice dello studio.

Per realizzare questo lavoro, pubblicato nel Giornale di tecnologia atmosferica e oceanicai ricercatori hanno analizzato gli spostamenti, tra il 2002 e il 2020, di oltre 600 drifting buoys, cioè boe trascinate che vanno alla deriva con le correnti oceaniche e permettono quindi di conoscerne la direzione e la velocità.

«Abbiamo quindi simulato numericamente le traiettorie di queste boe e calcolato la distanza tra la posizione finale delle boe alla deriva e quella stimata con le simulazioni numeriche, che ci hanno permesso di quantificare i processi diffusivi orizzontali esistenti nella regione», aggiunge Anna Olivé.

Lo studio mostra che la massima diffusione orizzontale si verifica vicino alla superficie dell’oceano, nei primi 200 m di profondità, mentre i valori minimi si osservano tra 1400 e 2000 m di profondità. La diffusione aumenta anche nei fronti antartici più settentrionali per la presenza della forte corrente delle Falkland, che scorre verso nord lungo la costa atlantica della Patagonia, raggiungendo il fiume La Plata.

“Questa importante differenza spaziale conferma la grande variabilità della diffusione orizzontale nell’oceano, il che evidenzia che un coefficiente costante non può essere utilizzato in tutto l’oceano”, spiega Josep Lluís Pelegrí, coautore dello studio.

A differenza di altri, il metodo ROD è facile da implementare e non richiede un uso computazionale eccessivo. Secondo Anna Olivé, “questo facilita la sua applicazione e lo rende uno strumento efficace per comprendere i processi di diffusione e miscelazione turbolenta in regioni dinamiche come i fronti antartici”.

Ad esempio, la nuova metodologia consentirà di sapere quale coefficiente di diffusione orizzontale è più appropriato per studiare ciascuna regione oceanica. Fino ad ora, le incertezze in questo parametro hanno limitato la capacità predittiva dei modelli numerici oceanografici.

“Grazie all’aumento del numero di boe alla deriva e ai continui miglioramenti nei modelli numerici ad alta risoluzione e nella rianalisi, il metodo ROD ci fornirà stime più precise che ci consentiranno di prevedere meglio l’evoluzione temporale dei processi su larga scala che hanno un impatto importante sul clima del nostro pianeta, come il nastro trasportatore globale”, conclude Anna Olivé.



Da un’altra testata giornalistica. news de www.sciencedaily.com

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