Qual è il rischio che un vulcano erutti? Per rispondere a questa domanda, gli scienziati hanno bisogno di informazioni sulla sua struttura interna sottostante. Tuttavia, la raccolta di questi dati può richiedere diversi anni di lavoro sul campo, analisi e monitoraggio, il che spiega perché solo il 30% dei vulcani attivi è attualmente ben documentato. Un team dell’Università di Ginevra (UNIGE) ha sviluppato un metodo per ottenere rapidamente informazioni preziose. Si basa su tre parametri: l’altezza del vulcano, lo spessore dello strato di roccia che separa il serbatoio del vulcano dalla superficie e la composizione chimica media del magma. Questi risultati aprono nuove prospettive per identificare i vulcani che presentano il rischio maggiore e vengono pubblicati sulla rivista Geologia.
La Terra ospita circa 1.500 vulcani attivi, ma disponiamo di dati accurati solo per il 30% di essi. Ciò è dovuto alla difficoltà di osservare il loro “carburante”, il famoso magma, ricco di informazioni. Questa roccia fusa viene generata inizialmente a una profondità compresa tra 60 e 150 km nel mantello terrestre, mentre i pozzi umani più profondi raggiungono generalmente solo una profondità di circa dieci chilometri, rendendone impossibile l’osservazione diretta. Il tasso di produzione del magma nella crosta profonda della Terra sotto un vulcano determina la dimensione e la frequenza delle future eruzioni.
Questa mancanza di dati è un pericolo poiché più di 800 milioni di persone vivono vicino a vulcani attivi. Pertanto, in molte regioni non esiste alcuna base per valutare il rischio che un determinato vulcano comporta e l’entità delle misure di protezione da adottare – il perimetro di evacuazione, ad esempio – in caso di sospetta eruzione.
Tre parametri chiave
I metodi di analisi geochimica e geofisica vengono regolarmente utilizzati dagli scienziati per monitorare i vulcani, ma possono essere necessari decenni per acquisire una comprensione approfondita di come funziona uno specifico vulcano. Grazie al recente lavoro del team di Luca Caricchi, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze della Terra della Facoltà di Scienze dell’UNIGE, è ora possibile ottenere informazioni preziose in tempi più rapidi.
Questo metodo utilizza tre parametri facili da misurare: l’altezza del vulcano, lo spessore delle rocce che separano il “serbatoio” del vulcano dalla superficie e la composizione chimica del magma rilasciato nel corso della sua storia eruttiva. Il primo può essere determinato via satellite, il secondo mediante analisi geofisiche e/o chimiche dei minerali (cristalli) nelle rocce vulcaniche e il terzo mediante campionamento diretto sul campo.
Una “istantanea”
Analizzando i dati esistenti sull’arco vulcanico delle Piccole Antille, un arcipelago di isole vulcaniche ben studiato, il team dell’UNIGE ha evidenziato una correlazione tra l’altezza dei vulcani e la velocità con cui viene prodotto il magma. “I vulcani più alti producono in media le eruzioni più grandi durante la loro vita. In altre parole, possono eruttare una maggiore quantità di magma in un solo evento”, spiega Oliver Higgins, ex dottorando del gruppo di Luca Caricchi e primo autore dello studio .
Gli scienziati hanno anche scoperto che quanto più sottile è la crosta terrestre sotto il vulcano, tanto più vicino è il suo serbatoio di magma alla superficie, e tanto più maturo è il vulcano dal punto di vista termico. “Quando il magma risale dalla profondità, tende a raffreddarsi e solidificarsi, il che arresta la sua ascesa. Ma quando l’apporto di magma è grande, il magma mantiene la sua temperatura, si accumula nel serbatoio che alimenterà una futura eruzione e ‘corrode’ presso la crosta terrestre”, spiega Luca Caricchi, secondo e ultimo autore dello studio.
Identificare i vulcani più a rischio
Infine, i ricercatori hanno osservato che la composizione chimica media del magma già eruttato è un indicatore della sua esplosività. “Alti livelli di silice, ad esempio, indicano che il vulcano è alimentato da grandi quantità di magma. In questo caso, c’è un rischio maggiore di una grande eruzione esplosiva da parte di quel vulcano”, spiega il ricercatore.
Insieme, i tre parametri identificati dal team UNIGE producono una “istantanea” della struttura interna di un vulcano. Consentono una valutazione iniziale del pericolo associato a vulcani poco studiati, senza la necessità di grandi risorse tecniche e finanziarie. Questo metodo può essere utilizzato per identificare i vulcani attivi che hanno maggiori probabilità di produrre un’eruzione su larga scala e che richiedono una maggiore sorveglianza.
Da un’altra testata giornalistica. news de www.sciencedaily.com