La sincronizzazione dei dati provenienti da due archivi climatici naturali – uno speleotema della grotta Herbstlabyrinth in Assia (Germania) e carote di ghiaccio della Groenlandia – offre nuove intuizioni sulla cronologia dei cambiamenti climatici improvvisi nell’Europa centrale. Secondo l’analisi, la devastante eruzione del vulcano Laacher See nell’attuale Renania-Palatinato è avvenuta prima di quanto si pensasse in precedenza e quindi non avrebbe potuto innescare l’improvviso periodo di freddo di circa 13.000 anni fa. La ricerca condotta dai geoscienziati dell’Università di Heidelberg e dell’Università di Magonza ha confermato questa scoperta. Oltre a datare con precisione l’eruzione vulcanica, il gruppo di ricerca ha anche stimato il suo impatto climatico.
L’ultima eruzione del vulcano Laacher See è considerata uno degli eventi più devastanti degli ultimi due milioni di anni, con effetti che hanno raggiunto il nord Italia, la Scandinavia e la Russia. Il momento esatto in cui si è verificata l’eruzione e se sia stata direttamente collegata a un improvviso periodo freddo chiamato Younger Dryas è stato a lungo argomento di dibattito scientifico. Una nuova classificazione temporale è stata intrapresa nel 2021 utilizzando la datazione al radiocarbonio dei tronchi degli alberi. I risultati suggeriscono che l’eruzione vulcanica deve aver avuto luogo 130 anni prima di quanto precedentemente ipotizzato. Il gruppo di ricerca di Heidelberg e Magonza è riuscito a confermare questa nuova data utilizzando uno speleotema proveniente dalla grotta Herbstlabyrinth a Breitscheid, in Assia.
Poiché un’eruzione vulcanica è associata ad elevate emissioni di zolfo, questo segnale vulcanico dovrebbe essere presente anche nello speleotema. “Le misurazioni ad alta risoluzione degli isotopi di zolfo e ossigeno effettuate dalla sonda ionica di Heidelberg sono state fondamentali per arrivare a questa determinazione”, spiega il Prof. Dr. Axel Schmitt, ricercatore presso la Curtin University di Perth (Australia) e professore onorario all’Università di Heidelberg. Con la sonda ionica è possibile misurare diversi rapporti isotopici e oligoelementi a livello micrometrico.
I dati geochimici potrebbero essere sincronizzati con un picco di solfati finora non attribuito nelle carote di ghiaccio della Groenlandia. Le analisi statistiche sono state eseguite sotto la direzione del Prof. Dr. Denis Scholz, esperto nella determinazione dell’età delle fluttuazioni climatiche storiche presso l’Istituto di Geoscienze dell’Università di Magonza. “Questa sincronizzazione rappresenta una svolta per la datazione degli archivi climatici e ambientali in quanto, fino ad ora, non era noto alcun indicatore temporale assolutamente datato prima del raffreddamento dello Younger Dryas”, afferma la dott.ssa Sophie Warken, che conduce ricerche sui cambiamenti climatici degli ultimi millenni presso gli Istituti di Scienze della Terra e Fisica Ambientale dell’Università di Heidelberg.
Secondo il dottor Warken, la determinazione della nuova età mostra che l’eruzione ebbe luogo circa 150 anni prima del periodo freddo del Younger Dryas. “Ciò esclude quindi una relazione causale tra l’eruzione vulcanica e il brusco cambiamento climatico”, spiega il ricercatore di Heidelberg e primo autore dello studio. L’identificazione dei picchi di solfato nelle carote di ghiaccio della Groenlandia ha permesso al gruppo di ricerca di trarre conclusioni sugli eventi climatici all’inizio dello Younger Dryas. Fino ad ora non si sapeva se i cambiamenti climatici associati a questo periodo freddo di circa 1.000 anni si siano verificati contemporaneamente nella regione del Nord Atlantico e in Europa o se si siano diffusi dalla Groenlandia all’Europa centrale nel corso di diversi decenni o addirittura secoli. “I nostri risultati portano alla conclusione che si è verificato un calo significativo della temperatura contemporaneamente, indicando che il clima dell’Europa centrale e quello artico erano direttamente collegati”, spiega il dott. Warken.
Il geoscienziato aggiunge che i risultati della ricerca aprono nuove prospettive per comprendere le complesse relazioni climatiche del passato. I risultati offrono anche una solida base per previsioni più precise sui futuri sviluppi climatici, come sottolinea Sophie Warken. La ricerca faceva parte del progetto collaborativo “Terrestrial Magmatic Systems” (TeMaS) portato avanti congiuntamente dall’Università di Heidelberg, dall’Università Goethe di Francoforte (Main) e dall’Università di Magonza, con il finanziamento, tra gli altri, dello Stato della Renania-Palatinato. Ulteriori finanziamenti sono stati forniti dalla Fondazione tedesca per la ricerca e dal Consiglio europeo della ricerca. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista “Science Advances”.
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